La "scusa" dei monti di Bagno per raggiungere l'Ocre da Casamaina.

Un insolito anello, prima nelle terre brulle dei monti di Bagno, poi sulla scintillante e abbagliante dorsale del monte Ocre.

Da un angolo periferico del gruppo del Velino fino a raggiungere un balcone sugli Appennini di rara bellezza!


Quel click prima o poi arriva, ti accorgi che da troppo tempo stai alla larga da quel pezzo di Appennino, senza un motivo, ci stai alla larga e basta, quel dubbio prima o poi arriva, senza preavviso, silenzioso, e ti fa rumore dentro; banalmente si rischia di pensare di conoscere un territorio, solo perché si è salita la vetta principale, magari alla cieca ricerca della “x” da mettere nella classifica del Club2000 e tanto basta per non degnarlo più di interesse. Per quanto mi riguarda un caso del genere riguarda i monti di Bagno, nonostante tutte le volte che andiamo o torniamo da Ascoli via autostrada ce li troviamo davanti ed è impossibile non guardarli anche se di sfuggita, eppure, come si dice, non me li sono “sfiorati di pezza” da un sacco di tempo; i monti di Bagno, è (sono) quella dorsale a Nord del massiccio dell’Ocre che senza discontinuità lentamente si abbassa per lasciar passare il nastro asfaltato della A24, li si confonde col massiccio dell’Ocre ma sono altro, sono un mondo a se stante, un quasi altopiano arido e roccioso, con tante valli, doline, rotonde vette che non superano i 1900 mt, una sola supera i 2000 mt, la cima omonima dei monti di Bagno, ma già siamo quasi dalle parti dell’Ocre, dove il mondo sta per cambiare; chissà perché ieri mi sono venuti in mente? Meglio aggiungere … meno male mi sono tornati in mente. Non è servita una carta, siamo frequentatori di Casamaina, quel piccolo borgo che si incontra scendendo da Campo Felice verso Lucoli, spesso ci fermiamo in una delle sue hosterie; da quelle parti l’unico esercizio che fino ad ora abbiamo fatto è quello di muovere le mascelle, stavolta avrei potuto aggiungerci maggiore peso agonistico tanto da iniziarci e chiuderci un bell’anello. Poteva essere carino salire fino in alto, verso la sella dei monti di Bagno o verso lo “Ju Tabbellò”, il monte Le Quartora per i non abruzzesi, quella cima che dall’Aquila e dall’autostrada è facilmente riconoscibile per l’inconfondibile profilo del ripetitore passivo posto esattamente in cresta e nelle vicinanze della cima. Senza anticipare nulla della giornata allo Ju Tabbellò alla fine non ci siamo stati ancora una volta, arrivati in cresta mi è sembrato troppo lontano per riuscire a chiudere in tempo l’anello progettato ed è rimasto sacrificato sovrastato da monti più “altisonanti” e panorami più ammiccanti; abbiamo deciso di volgerci verso Sud, percorre l’insieme di vallette e dorsali, la cresta fino alla cimata dei monti di Bagno e da lì se ci fosse rimasto tempo, raggiungere il monte Ocre con la prospettiva al rientro di riuscire a salire anche sulla cima di Fossa Palomba; il rientro a Casamaina, scontatissimo, lungo il vallone. Non è andata esattamente così ma quello che ne è venuto fuori è risultata essere semplicemente una giornata indimenticabile. Quando arriviamo a Casamaina e parcheggiamo nei pressi del tornate dove ha fine il borgo, il sole non ha ancora vinto sulle lunghe ombre, sono le otto del mattino, alcuni tetti, quelli più alti, vengono appena sfiorati dai primi raggi del sole, il resto del borgo dorme silenzioso, nemmeno prova a svegliarsi, solo i camini danno segno che c’è vita e spingono verso l’alto, nell’aria immobile, colonne diritte di fumo che hanno bisogno di metri e aria per disperdersi. Ci prepariamo velocemente per ingannare il freddo pungente, e ci guardiamo attorno per cercare l’imbocco del sentiero 7A (Carta n°8, Ed Il Lupo, Velino – Sirente, 1:25000) che sale verso il Valico dei monti di Bagno; non ci aiutano segnali e/o indicazioni, semplicemente mancano, la carta dice che dovremmo imboccare la strada sulla destra che si stacca al centro del tornante ma chissà perché non mi fido e preferisco salire per la stradina che conduce al vicino cimitero ( a dire il vero mi dava la sensazione che si disperdesse nella valle innevata o non puntasse direttamente la dorsale, insomma, non avevamo tempo da perdere ed era meglio iniziare subito a salire). Superata la piccola città dei morti, ci facciamo guidare dalle boscaglie dei rovi che ci ostruiscono la salita e tendiamo a destra nelle piccole radure che si allargano ogni tanto; come si dice in questi casi, per vie logiche e intuitive non tardiamo ad incrociare una traccia, che non è quella riportata sulla carta, sale più verticale e quindi più veloce, per gradoni e stretti zig-zag si snoda sul terreno arido e roccioso di questo versante e fa prendere velocemente quota, altrettanto velocemente guadagna la zona assolata tanto che siamo costretti ad alleggerirci immediatamente. Per alcuni tratti seguendo la traccia per altri salendo secondo le nostre linee dopo 1 ora dalla partenza intercettiamo la carrareccia che sale dalla valle e prendiamo a seguirla per circa un chilometro ancora e ormai quasi in piano; nei pressi di una baita pastorale non riportata sulla carta la strada compie una larga curva verso destra, l’abbandoniamo per riprendere a salire diretti in cresta che raggiungiamo intorno alle 10.20, dopo 2 ore dalla partenza, in prossimità del bivacco della Protezione Civile. Sempre rimanendo sulla verticale di Casamaina. Pochi passi prima di scoprire l’orizzonte veniamo colpiti da alcune sberle di vento gelido che ci fanno guadagnare in fretta la parete del bivacco, al sole e completamente protetta dalle folate; ci rimangono le poche immagini che abbiamo catturato prima di metterci al riparo, l’ampia valle dell’Aterno, la città dell’Aquila e davanti, oltre la piana la lunga, bianca catena del Gran Sasso; la curiosità di sbirciare era tanta ma preferiamo asciugarci un po’ al sole e mangiare qualcosa prima di coprirci ed uscire allo scoperto. Quando lo facciamo non c’è solo il Gran Sasso là davanti, è netta la sagoma del Vettore a Nord, meno netta perché presa di infilata sono le linee della dorsale della Laga, si distingue la piramide del Sevo, spunta appena il Lepri, è di facile lettura il Gorzano e la Laghetta; poi scivola via l’intera cordigliera del Gran sasso, dal San Franco al Camicia. Grande il contrasto delle bianche montagne col blu profondo del cielo, un gran bel panorama di forte impatto. A Sud-est si delinea già la lunga cresta che sale lenta e costante, le tonde prominenze dei monti di Bagno con le piccole rocciose valli interne e l’ampio vallone che scivola verso Casamaina che ad Ovest è contenuto dalle boscose dorsali dal bizzarro nome di Cappa Matteo e che sfociano nella cima di Fossa Palomba; la luce la fa ormai da padrone, è accecante. Un lento su è giù, la cresta è spoglia da neve ma in molti tratti è ghiacciata, non servono ancora i ramponi; raggiungiamo la base della cresta e lentamente iniziamo a salire. Servono i ramponi, si sale più sicuri e veloci con i ramponi ai piedi, il contrasto con i colori della piana dell’Aterno e delle montagne innevate è fortissimo, l’ampio panorama rimarrà una costante quasi fino alla fine della giornata; ad Ovest, mentre saliamo si va scoprendo l’intero gruppo del Velino, l’Orsello ci scorre accanto da stamattina, ora sono ben delineate anche le creste del Cornacchia-Puzzillo e più dietro quella di Punta Zis e del Morrone, si distingue la piramide del Velino, se queste sono le premesse, sopra, una volta scavalcata la cima dei monti di Bagno l’orizzonte diventerà impressionante tanto sarà vasto e davvero poco ci verrà negato leggere. Puntiamo l’Ocre ormai, sembra lontano ma quando superata la cima dei monti di Bagno ci troviamo sulla sommità della cresta la storta croce della vetta sembra a due passi, effetto sicuro della nitidezza dell’atmosfera ma di fatto ha il pregio di metterci le ali ai piedi. Le ali si spezzano subito perché ogni una per due siamo fermi a perderci nell’infinito orizzonte che abbiamo tutto intorno. A ben guardare c’è davvero tutto se mi metto ad elencare le cime che riconosco rischierei di riprodurre l’elenco del Club2000. Non mi pare di aver citato il Nuria, il Terminillo e il Giano a Nord-Ovest, ancora più delineati dal momento che siamo più alti spiccano il Vettore a Nord, la Laga, il Gran Sasso tutto; continuando a girare lo sguardo verso Est, Sud-Est è il muro della Majella ad imporsi, maestosa con i sui canali profondi, vicino spicca L’Ocre, ormai ad un passo e poco sulla destra il buio muro del Sirente, impressionante dorsale dal sapore dolomitico. E poi naturalmente il Velino, un mare bianco di cime, dorsali, piramidi, una strabiliante distesa di montagne. Menziono anche le montagne del parco, più lontane svettano meno distinte, ma se ne riconoscono diverse. Che giornata ragazzi, di quelle che ne capitano due all’anno e che fortuna aver colto questa occasione. Ormai il tempo è solo un’opzione, siamo lentissimi sulla dorsale verso l’Ocre che raggiungiamo dopo un’ora dalla cima dei monti di Bagno, ci aggreghiamo a due che stanno bivaccando al piacevole tepore della vetta, anche il vento che lentamente è andato scemando ha smesso completamente di soffiare, il paradiso, se esiste, deve essere qualcosa di molto simile a questo posto. Le rocce scoperte della vetta sono degli ottimi sedili per bivaccare, mangiamo qualcosa e fotografo l’impossibile poi basta, ci si ferma, c’è spazio solo per contemplare l’incredibile silenzioso, abbagliante, mondo che abbiamo intorno; anche noi in silenzio, ogni tanto interrotto da una nota di meraviglia e da un più o meno improvvisato elenco di cime che vado riconoscendo. Una mezz’ora di pace assoluta che non sarebbe mai dovuta terminare; per gustarci fino in fondo questo momento decidiamo di rinunciare fin da ora di salire sulla cima di Fossa Palomba e ci rubiamo ulteriore tempo. Tempo che comunque è sempre avaro quando stai bene. Intorno alle 14 riprendiamo la discesa, puntiamo la vetta senza nome a quota 2161 mt dove praticamente finisce la dorsale ed inizia la discesa verso la sella di Settacque. Il tondo muro della cima di Fossa Palomba oltre la valle sottostante attira ma sarebbe davvero un di più, qualcosa che non potrebbe aggiungere altro alla giornata, ci lasciamo scivolare verso il basso, verso la sella, che non raggiungiamo; cerchiamo le linee migliori per scendere e ci teniamo sulla parte destra della valle, sempre piuttosto alti, per andare ad intercettare le prime lingue di terra priva di neve. Intercettiamo la carrareccia che scende dal valico dei monti di Bagno, si perde tagliando verso la parte alta della valle e non garantirebbe più velocità, la attraversiamo e riprendiamo a scendere pendii sempre più esigui che lentamente si perdono nelle linee di fondo valle. Dove la bassa vegetazione e i rovi ci lasciano spazio passiamo e alle 15,45, dopo meno di due ore dall’Ocre siamo alla macchina. Ancora entusiasti di quanto abbiamo potuto godere da lassù, contenti di essere venuti a conoscere questo pezzetto di Appennino mai troppo considerato. A cinquanta metri dalla macchina un bar, è tardi ma tanto vale chiedere… riusciamo a mangiare qualcosa la mia domanda, a quest’ora un tagliere e magari ci posso aggiungere un po’ di arrosticini è stata la risposta. Provate un po’ ad indovinare come è finita? In aggiunta al tagliere e agli arrosticini, una montagna di calde bruschette e dell’ottimo Montepulciano. Oggi in gloria non ci sono finiti solo i Salmi, quella di oggi è stata una giornata intera di bellissime e indimenticabili emozioni.